Prima delle regole servono i soldi
Di Carlo Pelanda (15-2-2009)
Dal 1975 - quando fu creato il G5, poi allargatosi a G7 -
non c’è summit generale o settoriale del gruppo che sia
andato male. In tali occasioni, inoltre, la prassi è che qualunque cosa
succeda a porte chiuse debba comunque tradursi in
messaggi positivi. Il G7 finanziario, quindi, non merita commento tanto ne è scontato e nominalistico l’esito? In generale
suggerisco attenzione minima a tali convegni e massima, invece, ai G2 di fatto
che veramente cambiano il mondo, per esempio America-Cina, America-Russia. Mi
piacerebbe citare un Usa – Ue, ma la seconda ancora
non c’è. Tuttavia, nel caso particolare di questo vertice a Roma c’è materia di interesse. Non solo perchè il “mondo che viene a Roma” ci
ricorda che questa è la vera capitale dell’Occidente, inteso come area di
cultura politica basata sul concetto cristiano della centralità della persona,
pertanto “luogo e logos” della libertà. Salta alla mente il lirismo “a Roma
l’Occidente si ritrova”. Ma andiamo al punto. L’unico
accordo concreto tra le nazioni del G7 – e che ha funzionato piuttosto bene nel
passato - riguarda
il coordinamento per la gestione delle crisi economiche con raggio
internazionale. Poiché la crisi in atto è globale e
sincronica e richiede soluzioni di coordinamento altrettanto globali e
sincroniche, è importante capire, leggendo tra le righe, se le abbiano
finalmente trovate oppure no. .
L’appello ed impegno ad evitare il protezionismo,
specialmente da parte del rappresentante statunitense che ha dovuto
giustificarsi del “compra americano” apparso nella
legge votata dal Congresso a maggioranza di estrema sinistra è stato un buon
segnale. Da un lato, la reazione protezionista in fase di crisi è fisiologica.
La gente in ansia se ne frega del fatto che il protezionismo sia catastrofico
in quanto riduce lo spazio del mercato e ne chiede i vantaggi di brevissimo
termine. E’ inevitabile che la politica, pressata, ne conceda un po’,
dappertutto. Dall’altro, se resta solo un po’ il danno
non è fatale. L’impegno comune, appunto, è di limitarlo. Per il resto le nazioni
non hanno deciso alcunché. Ma gli stessi politici e banchieri centrali che si
sono ritrovati a Roma si consultano da tempo, in modi
riservati, per cercare di risolvere il massimo problema che ha causato la crisi
e la fa durare: i buchi di bilancio nelle banche e la gran massa di prodotti
finanziari “tossici” perché considerati contaminati da insolvenza totale o
parziale. Tale contaminazione ne ha congelato il mercato e senza scambi non è
possibile definirne il prezzo. Ed è un problema.
Quello conseguente è che le banche non si fidano l’una dell’altra e quindi non
si prestano i denari tra loro. Tali denari servono a rifinanziare le operazioni
a debito delle banche stesse (leva). Se mancano, le banche falliscono ed
entrano gli Stati nel capitale per salvarle o bisogna procedere ad una
ricapitalizzazione o a una combinazione delle due cose.
Ma gli azionisti, prima di diluirsi nella proprietà o
cacciare altri soldi, preferiscono usare la liquidità della banca per la sua
sopravvivenza. E così il capitale di credito viene a
mancare nell’economia reale. Tale fenomeno ha innescato la
crisi e la sua non soluzione la sta perpetuando. Dall’estate del 2007 le
Banche centrali si sono coordinate per fornire liquidità all’industria
finanziaria, ma ciò ha finanziato la crisi senza risolverla. In teoria il
sistema G7 avrebbe le capacità – che stimo in 10 trilioni di euri
equivalenti e perfino di più – per assorbire (garantire) i prodotti tossici,
bonificare i bilanci delle banche, così anche ricapitalizzandole, e far
ripartire la fiducia finanziaria, di conseguenza, il credito. Ma, in pratica, tale soluzione non è ancora in vista, pur
studiata a porte chiuse. Draghi la ha invocata, ma il
suo riferimento al fatto che bisogna rendere trasparenti i bilanci bancari
lascia intendere che c’è un ostacolo non ancora superato e che il coordinamento
G7 non lo sta superando. Sicuramente le cronache enfatizzeranno la proposta di
Tremonti, presidente del summit, di costruire uno standard globale
legale per dare ordine alla finanza mondiale. E tutti siamo
d’accordo. Ma il fare tale standard è un’operazione di
stabilizzazione della normalità, che per inciso doveva essere fatta nel
passato, e certamente un obiettivo del dopo crisi. Per uscire dalla crisi,
adesso, servono soldi, non regole. Un G7 che ha invocato le seconde mostra di
non sapere ancora come trovare i primi. Siamo ancora in alto mare.